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Gubbio: si conclude il Laboratorio Teatrale di Luca Ronconi a S.Cristina

Gubbio: si conclude il Laboratorio Teatrale di Luca Ronconi a S.Cristina aperto nel mese di agosto.Tanti talenti teatrali da tutta Italia in un percorso di formazione unico.
Come ormai da più di un decennio, e in costante e proficua collaborazione con l’Accademia Silvio d’Amico, continua il Laboratorio di Luca Ronconi a Santacristina, luogo impervio e fascinoso, dove il Maestro ha stabilito, con la complicità di Roberta Carlotto, il suo quartier generale di libera docenza teatrale. Qui ogni agosto è invitato un gruppo di giovani attori diplomati da poco – se pur con qualche eccezione – alla stessa Accademia (è il caso, quest’anno, di Rosy Bonfiglio, Barbara Chichiarelli, Flaminia Cuzzoli, Arianna Di Stefano, Desireé Domenici, Carmine Fabbricatore, Giulia Gallone, Michele Lisi, Matteo Mauriello, Gianluca Pantosti, Eugenio Papalia, Francesco Petruzzelli e Matteo Ramundo, affiancati da altri che, nonostante la giovane età, hanno già un’esperienza professionale alle spalle: Lucrezia Guidone (Premio Ubu come miglior attrice under 30 nel 2012), Fausto Cabra, Gabriele Falsetta, Fabrizio Falco (Premio Marcello Mastroianni nell’ambito della 69a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), Lucia Lavia, Massimo Odierna e Sara Putignano) per indirizzarli in un percorso di formazione del tutto al di fuori dagli iter didattici tradizionali: in circa un mese di “residenza” – si mangia e si dorme all’interno di quest’eremo laico ubicato nella profondissima Umbria – vengono analizzati, quasi “vivisezionati”, testi di provenienza assolutamente differente, con i quali gli attori si cimentano sotto l’occhio vigile di Ronconi, che – scena dopo scena, frammento dopo frammento – attraverso le sue capacità maieutiche evidenzia gli errori e indica possibili strade, fermandosi talvolta a lungo su una singola, importante battuta. E se l’anno scorso l’attenzione di Ronconi si era concentrata su Pornografia di Witold Gombrowicz – divenuto in seguito uno spettacolo vero e proprio, che ha debuttato all’ultimo festival di Spoleto – quest’edizione – ancora più “laboratoriale” nel senso più puro del termine – vede il Maestro (assistito da Luca Bargagna e Benedetto Sicca, registi che già in precedenza hanno lavorato con lui) unico artefice analitico di diverse, affascinanti proposte testuali. La prima, o meglio la principale, è Il cuore infranto di John Ford, autore elisabettiano dalla grande complessità, che Ronconi aveva già incontrato anni prima, nel 2003, allestendo Peccato che fosse puttana. Il testo, ambientato nell’antica Sparta, presenta forti difficoltà interpretative, dovute soprattutto alle dinamiche relazionali che legano i protagonisti, e che vengono messe in luce da Ronconi spesso lasciando sconcertati attori e osservatori: triangolazioni amorose, richieste di risarcimento sentimentale che a una lettura frettolosa non emergono, e che invece l’esame drammaturgico del regista mette in luce, risultano determinanti per la comprensione del dramma, in cui – se si vuole tentare di riassumerne il plot in poche parole – nessuno dei personaggi riesce a coronare il proprio sogno d’amore, scivolando fatalmente nel suo esatto ed eterno opposto, vale a dire la morte. È proprio con quest’analisi spietata, “filologica” e in un certo senso junghiana che gli attori, nell’incarnare a turno queste dolenti e stratificate figure, si devono confrontare, in un continuo guardare dentro e oltre se stessi travalicando e mettendo in discussione le proprie radicate verità. Se più in generale si intendesse trovare a tutti i costi – e piuttosto arbitrariamente – un filo rosso tra i testi prescelti, la dialettica tra vita e morte e la complessità delle relazioni umane sembrano essere presenti anche nelle altre “tracce”, a cominciare da Strano interludio di Eugene O’ Neill, pièce monstre in nove atti già affrontata da Ronconi nell’ormai lontano 1990, nella quale sono presi in considerazione trent’anni di vita di una donna, Nina, e degli uomini che a diverso titolo le stanno a fianco, vivendo e invecchiando con lei. Anche la commedia dell’autore americano, con le sue ambientazioni fosche e con i torbidi rapporti intersoggettivi che la contraddistinguono – oltre ai normali dialoghi è continuamente esplicitato anche il pensiero di chi parla, attraverso dei lunghissimi “a parte” – sembra particolarmente adatta all’escavo psicologico da parte degli attori, che si trovano costretti, sotto la guida del Maestro, a demolire le proprie sicurezze e convinzioni. Storia di una morte, vista con affetto e benevolenza, è poi quella raccontata da John Fante in una delle sue Lettere: dopo aver compiuto una recusatio rispetto a un’opera che gli era stata proposta, lo scrittore prende a narrare ai propri interlocutori gli ultimi anni di suo padre, muratore “libertino” che ormai settantacinquenne si incapriccia di una signora di tre anni più vecchia di lui, gettando nello sconforto moglie e figli. Il tono divertito e bonario con cui questa figura di padre è descritta, con la sua scappatella innocente che lo fa tornare a sentirsi vivo, offre un’altra possibilità di guardare la vita degli altri senza esprimere giudizi e condanne. Solo apparentemente più “leggeri” gli ultimi testi presi in considerazione da Ronconi per il lavoro con i ragazzi. Si tratta di quattro favole di Andersen, tre delle quali – eccettuando la dolorosa Storia di una madre che cerca di riprendersi il figlio sottrattole dalla morte – hanno un elemento in comune: a parlare sono sempre degli oggetti, che assumono però caratteristiche umane. Sia L’ago da rammendo che La teiera o Il tenace soldatino di stagno rappresentano passioni, presunzioni, inquietudini, sofferenze, vicende di vita vissuta da parte di oggetti comuni, quasi insignificanti, ma che permettono all’autore di parlare di differenza e pregiudizi in termini ironici e non moralistici. Questo il cocktail preparato da Luca Ronconi per il seminario di quest’anno. Rispetto ad annate precedenti è forse ancor più evidente la varietà degli approcci che ha voluto proporre ai suoi attori, dal dramma simbolico di John Ford al monumentale affresco intimistico di O’ Neill, attingendo però anche a forme meno consuete come l’epistola e la fiaba. In realtà ogni edizione ha connotati e contorni diversi, restando fermo soltanto il modo “entomologico” tipico del regista di scavare tra le pieghe delle pagine e delle parole, avendo sempre in testa un preciso disegno scenico. Nella cornice “monacale” del Centro Teatrale questo lavoro si scollega dal normale percorso di preparazione di uno spettacolo per assomigliare molto di più a un cantiere dove, attraverso l’apprendimento esperienziale e diretto, il teatro ritorna a essere quello che è sempre stato, cioè una straordinaria arte artigianale.
Gubbio/Gualdo Tadino
12/09/2013 16:16
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